Da qualche giorno sono una Donna Moderna.
Dovrei zampettare felice con scudo totale ormai inoculato, stupita da chi lo rifiuta, l’elisir per continuare a vivere, felice di averlo. Ecco, ci sono quasi, come il primo uomo sulla Luna, poggio il piede, avanzo, non sento più la gravità, ma che bellezza!
Oppure no? E che sarà mai questa voglia di tornarmene sull’Apollo 11?
La verità è che non mi ci ritrovo in questa umanità di gente festosa che sembra impazzita per poter di nuovo prendere un aperitivo insieme, stare addossata in metropolitana, fotografarsi con davanti piattoni succulenti al ristorante. Non mi ritrovo in questa voglia di vecchio spacciato per nuovo, come se questi mesi non fossero passati, come se tutto questo fosse stato niente.
Ma davvero vogliamo tornare a prima? Il Pianeta non ci ha raccontato nulla? Vogliamo continuare a concentrarci sul nostro orticello? Clima, fame nel mondo, spreco alimentare, allevamenti intensivi, cosa saranno mai costoro?
Sarà la sindrome della Caverna, non quella di Platone, ma quella che avrebbe dovuto colpire i più giovani, che invece mi sembrano di molto capaci di tornare – e giustamente – a ritrovarsi insieme. Sono gli unici che sembrano aver imparato qualcosa dal periodo di reclusione: «Ai miei figli non racconterò altro che in questi anni abbiamo avuto modo di stare più in famiglia», ha esordito perentorio ma saggio come sempre, il mio di figlio. Ai giovani continuiamo a chiedere indefessi lo sforzo maggiore: prima tutti in casa in Dad, ora in fila e vaccinati, qualsiasi cosa pur di salvare noi.
Noi che invece non salviamo il pianeta, non pensiamo al clima e a quel che sta accadendo, noi che vogliamo solo continuare la vita di prima.
Quel che non ho ben chiaro è perché invece io a un tratto ho nostalgia di quel tempo sospeso, in cui improvvisamente non c’erano urgenze, libri da chiudere, altri da leggere, libri da editare e testi da rifiutare. Non c’era niente di impellente e Gozzano – giuro – non mi è mai piaciuto, però «imparare a sostare», come ha detto Papa Francesco è stata una lezione importante per chi è abituato a correre veloce.
La verità vera è che niente e nessuno vale quanto il poter vivere. Vivere e basta, non fare, non macinare, non produrre, non consumare. Non guardare, osservare, blaterare, non avere, ma vivere al centro della propria vita.
Tutto questo possedere e muoversi per andare lontano a prendere non so cosa, adesso mi appare primitivo e non mi interessa più, preferisco tenere, mantenere, stare. Il futuro mi piace immaginarlo così: un film distopico ambientato in alta montagna o in riva al mare, nel verde magari, vestiti con abiti monacali, bianchi forse, pochi suoni, zero macchine e rumori, un vero rispetto per l’ambiente, cura degli altri e non solo di noi stessi.
Solo adesso ho capito la scelta di un mio amico Autore che ha preferito la Natura alla socialità, la Terra alle macchine, la Ricerca del silenzio alle parole in fila. A qualcuno sembrerà che sia rimasto indietro, invece più ci penso più capisco che lui è davanti a tutti, perché è lo sguardo che si poggia sulle cose a contare, non le cose che guardi. Altrimenti sarebbe semplice e allora davvero basterebbero i Social per far finta di esserci.
E dopo diversi decenni di corse senza fiato, mi sono accorta all’improvviso che senza lavorare non solo sopravvivo, ma sto pure meglio. Guarda un po’: vivo.
Un passetto dietro l’altro, sulla mia Luna fiorentina, di nuovo fin troppo popolata e affollata, cammino piano, mi guardo intorno, è stato bello rivedervi tutti, evviva sì, ma adesso quasi quasi me ne torno sul mio Apollo 11, leggo Tolstoi, chissà è la volta che scrivo, non so quando, ma sì prima o poi torno…