Il posto delle fragole

L’appartenenza

A volte mi restano in mente delle parole e non vanno più via. Questa non mi ricordo neanche da dove è arrivata. Forse un’immagine estiva, davanti all’Etna sotto cui nacqui. O forse il sentimento del suo contrario, nel non sentirmi più legata a nulla dei luoghi della mia infanzia, alle memorie sospese, cui non appartengo ormai da quarantuno anni, che sono davvero tanti.

L’appartenenza. Mi chiedo se è come una malattia che ritorna. Quando pensi di essertene liberata per sempre e poi riaccade, come nulla fosse, come fosse sempre rimasta lì segretamente.

L’appartenenza è anche bella, se la scegli tu, se è una tua scelta intendo. Come quando, dopo l’estate, son tornata nella mia Firenze e avrei baciato ogni balcone, ogni squarcio sul Lungarno, abbracciato ogni cadenza aspirata, ogni sguardo rospino ed educato, ogni fiorentino, ogni bottega d’Oltrarno, ogni scalpellino.

L’appartenenza non c’entra con il sangue o con la nascita. C’entra con l’amore. Altrimenti non saprei, come so, di appartenere in toto a mio figlio che è nato dal mio cuore. Appartenere a ogni suo respiro di quando era bambino e dormivamo vicino vicino e contavamo insieme le stelline per farlo addormentare. Appartenere al suo sorriso che tutto comprende, a quel che dice e a quel che invece tiene per sé, garbatamente. Appartenere a una vita, tutta intera, sentirla da dentro, sapere che nulla ti appartiene maggiormente che vederlo con un libro in mano, la sera tardi, ora che le stelline non servono più, mentre legge piano, tutto concentrato.

Buffo che in quel libro le stelle sul finale le abbia immaginate lui e l’autore le abbia poi inserite veramente, ed è un libro che parla di desideri: «Desideri che fanno rumore», che sembra una trovata ma se ci pensate è una rivoluzione. L’idea che ciò che desideri, gli altri possano leggerlo dentro di te, quasi non fosse solo letteratura, ma vita vera, felicità, dolore.

Allora ecco che senti di appartenere a un mondo che è quello che ti sei costruita tu.

Un mondo di appartenenze con autori, editori, libri, idee, incontri, ritorni, cose e volti che tutti ti appartengono. Anche se poi stai lontano dalle vetrine e dalle kermesse, perché sei fatta così, perché così è. Ma gli appartieni a quel mondo lì, e te ne accorgi se salti un turno e al Salone quest’anno non ci vai e allora pensi al primo anno, quello mitico del Valentino, in macchina da Stresa con un’amica dei tempi dell’Università.

E tutto quel che c’è stato dopo, la fatica e il coraggio, l’imprudenza e l’incoscienza, le rincorse e le coincidenze, Milano e Roma soprattutto, i mille volti delle mille Case editrici attraversate, i mille autori, le cianografiche azzurrine e le copie staffetta. Tutto questo ti appartiene veramente. Perché è la vita che ti sei costruita tu e dentro ci stai bene, anche se non ci sei, anche quando non ci stai. Perché l’appartenenza è questo battere sui tasti, veder le parole che nascono e si rincorrono, poi si cancellano, talvolta ritornano.

L’appartenenza è la scelta che fai.

Il luogo cui scegli di appartenere: l’Alpe di Siusi, la Maremma, la mia città, Firenze mia come non mai. L’appartenenza è mio figlio e tutto ciò che sarà.
Ancora non c’è, ma mi piace pensare che financo quello – se lui vorrà – apparterrà un pochino anche a me.

Perché appartenere è scegliere di restare a fianco di chi ci fa sentire noi come non mai. Perché è questa la vera appartenenza: quella che (ci) salva.

Cfr. Il rimando al libro cit. è a: Paolo di Paolo, I desideri fanno rumore, #AryaGiunti