Il posto delle fragole

Il punto di vista

Dipende sempre da chi guarda, più che dal che cosa guarda.
È una delle prime “regole” che insegnano ai corsi di scrittura creativa, cui peraltro credo poco. Ma forse sbaglio io a essere così perentoria, perché poi – anche qui – dipende.

Quest’estate, mentre divoravo chilometri su chilometri a piedi, a Vienna, ho pensato molto al punto di vista. Vienna dove ho abitato per un po’ è una città quasi perfetta, pulita, ordinata, ricca di verde e di spazi comuni. Non dico anche “accogliente”, perché il Nord rimane il Nord e noi per loro rimaniamo soprattutto «Italiener», quindi sostanzialmente poco affidabili e simpaticamente fantasiosi, a prescindere. Una città in cui il punto di vista, lo senti e lo vedi, lo ammiri perfino, ma è sempre lo stesso. Il medesimo, imperiale, inappuntabile, altero, grandioso, imperturbabile punto di vista di una città che è stata il e al centro esatto della mitteleuropa per più di un secolo e dove quel che vi confluiva, è sempre stato organizzato, inglobato all’interno di un medesimo milieu. Vienna è bellissima, ma a me è parsa bellissima sempre allo stesso modo, ecco, e non mi riferisco solo all’architettura, perché l’immagine interiore che mi ha regalato è quella di un’Imperatrice che si specchia cercando il riflesso di ciò che immagina di sé.

Così ho pensato che in fondo accade lo stesso a chi scrive. Se decidi prima cosa aspettarti, se hai già un progetto preciso in testa, qualcosa che ancora non c’è ma vuoi realizzare. Progetto peraltro indispensabile nel genere e nella saggistica, ma poco utile nella fiction. Perché se il tuo testo lo decidi prima a tavolino, poi non funziona, manca sempre qualcosa. In narrativa, non oso parlare di Letteratura, è spesso nel dettaglio e nell’imperfezione che si annida la bellezza, quella che poi con l’editing si cerca di far venire fuori al meglio.

Ho letto decine e decine di volumi sul rapporto a doppio filo che lega la Letteratura alla Psicoanalisi, osservato e amato non so più quante opere di Artisti delle Avanguardie e di Surrealisti, del periodo della Secessione, della Metafisica et alii. Ma solo quando ho visitato il Sigmund Freud Museum nella stessa strada, che il Professore percorreva ogni giorno, in Bergasse 19, solo quando ho visto i suoi occhialini nella loro teca e ho visto le stanze dove aveva abitato e studiato, ho davvero percepito quanto i suoi Studi abbiano permeato un’intera epoca, formato e influenzato un pensiero che da Vienna e da Parigi arrivò a Trieste e a Dublino, una rivoluzione che sviscerava dall’interno la Crisi di un’intera Epoca e – come nei quadri di Schiele e Kokoschka – rivelava al mondo il nostro Es, la parte che non vedi, se non scendi a patti con il lato rationable e accetti quel che di non prevedibile abita in ognuno di noi. Così a un tratto, per la prima volta davvero, ho capito perché la psicoanalisi è nata proprio a Vienna.

Perché è dal Bianco perfetto e lucido e pulitissimo Edificio simbolico di un immaginario Reale che sembra ovunque una cartolina (e chissà se un caso che anche questa l’abbia inventa un austriaco) è nata la più imperfetta, meticcia, intrigante e compromettente Teoria dell’analisi di ciò che in realtà non si vede: i sogni, la libido, i tabù (…), con tutto l’armamentario che serve a capirla, la vita, e sviscerala come dall’interno.
Certo, questo è solo un punto di vista, peraltro assai poco accademico. Ma vale lo stesso anche quando si fa editing, sapete? Perché per entrare nella scrittura di un’altra persona, sei costretto a passare sempre attraverso altri luoghi che non siano lo stile, le parole, il ritmo, i dialoghi…
Sei obbligato a interpretare senza una logica apparente, cosa funziona e cosa no. E finisci con il dover fare i conti con la persona, con chi scrive, con i suoi limiti e con il suo carattere, con tutto quello che precede il Realize, come lo chiamava Renato Serra. Devi affrontare un corpo a corpo con quel che trascende l’opera per affondare nell’imo di chi scrive, accogliendolo per quel che è.
Poi, dopo, davvero molto dopo, arriva l’editing, arrivano le correzioni – che io odio chiamare così – arrivano i suggerimenti, le idee e tutto quel che accade sulla pagina e precede la lettura critica, la spiega sì, ma solo in parte, perché nasce sempre altrove. Nell’intuizione dell’altro, soprattutto, nella capacità quasi istintiva di riuscire a tirar fuori emozioni e un sentimento delle cose che non è il tuo, ma a cui il tuo “essere ponte” è utile per definire il testo al suo meglio. Ma questo, naturalmente, è ancora una volta solo il mio punto di vista. Il punto di vista di un editor che ha fatto di una passione il suo lavoro. What else?