Il posto delle fragole

Lettere da un altro mondo

Mentre stavo pensando a cosa pubblicare sul mio picciol blog per Natale, ho ricevuto questa bella lettera di Gherardo Gambelli, un  sacerdote mio amico che da Firenze è volato in Africa più di nove anni fa. Da tempo sta lavorando a un progetto di costruzione di una Scuola a Mongo dove ora risiede stabilmente. Il Ciad è al 183° posto su 187 Paesi per l’indice di sviluppo umano e l’80% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. In particolare, si tratta di  una zona del Ciad con più del 90% di popolazione musulmana e proprio quest’estate Gherardo ci ha raccontato come – paradossalmente – tutto ciò che a noi appare lontano e divisivo, lì diventi motore di accoglienza e confronto se è vero, come è vero, che i bambini musulmani e cristiani studieranno insieme.  

Non c’è molto altro da aggiungere, credo.

Buona lettura, se la leggerete. Auguri per un 2020 di Pace.

Mongo, 18 dicembre 2019

Carissimi/e,

Rientrando dalle vacanze in Italia, mi sono fermato per qualche giorno a N’Djamena per salutare gli amici nella mia vecchia parrocchia di Santa Bakhita. Il nuovo parroco, l’abbé Albert, aveva organizzato un buon pranzo e aveva invitato i confratelli delle parrocchie vicine. L’ottimo dessert, preparato da una giovane ragazza della corale di nome Reine, ci è stato servito proprio nel momento in cui lei stessa ha fatto la sua comparsa nella sala da pranzo insieme a un’amica. Reine è rientrata da un anno circa dal Camerun, dove ha terminato gli studi universitari in economia. Uno dei preti, seduto vicino a me, le chiede cosa fa nella vita.

Mi colpisce molto la sua risposta: «Padre non faccio niente». Lo ripete due volte e, se chiudo gli occhi, anche adesso mi sembra ancora di sentire la sua voce: «Padre non faccio niente».

È il dramma di tanti giovani ciadiani che, dopo enormi sacrifici negli studi, non riescono a trovare lavoro nel loro paese. Tutto ciò a causa di politiche miopi dello Stato, con la complicità delle potenze occidentali, la cui unica preoccupazione sembra essere quella di far guerra ai terroristi per arginare i flussi migratori verso l’Europa. Quando passo di nuovo da N’Djamena, all’inizio di novembre, apprendo che Reine ha trovato un piccolo lavoro dando delle ripetizioni di matematica. Nell’attesa che qualche porta si apra riesce ora a ritrovare la forza di sorridere e di sperare. Contemplo e ammiro questa sua forza di resilienza, come quella dei suoi genitori.

Alla fine del mese di agosto abbiamo ricevuto a Mongo, la visita di un simpaticissimo gruppo di Scout di Modena. Quattro ragazze e due ragazzi, ben preparati dal loro centro missionario diocesano, hanno visitato le tre parrocchie principali del nostro Vicariato Apostolico (Abéché, Mongo e Bitkine). Nella nostra parrocchia purtroppo le occasioni di incontro con i giovani ciadiani non sono molte. È il periodo delle vacanze e molti di loro sono partiti per i lavori nei campi dei villaggi vicini. Pian piano però la notizia della visita degli amici italiani si sparge e la domenica un gruppo di giovani si ferma per un incontro. Proviamo a raccontarci quel che si fa nelle rispettive parrocchie. Fra i vari interventi mi colpisce molto quello di Emmanuelle, una cheftaine delle Guide di Mongo.

Racconta che molto presto le è stato chiesto di essere responsabile del suo movimento, spiegando bene che la nostra diocesi è una chiesa di frontiera con pochi cristiani. Non nasconde le difficoltà, le paure e gli errori commessi, ma condivide anche il segreto della sua riuscita che consiste nell’umiltà di chiedere consiglio, soprattutto alle persone più anziane.

Mi vengono in mente quelle parole dell’adagio citato da Papa Francesco nell’esortazione Christus Vivit: «Se il giovane sapesse e il vecchio potesse, non vi sarebbe cosa che non si farebbe» (CV 191). Molte volte, in questo ultimo periodo, mi è capitato di fare esperienza della Provvidenza del Signore che si è manifestata specialmente nei viaggi, attraverso le persone che ti danno un’indicazione o che ti tirano fuori dai guai. Ho imparato da un amico prete di Vicenza, fidei donum qui a Mongo, dopo tanti anni di servizio passati nel nord del Camerun, a fidarmi dell’angelo custode. La parrocchia che mi è stata affidata si trova in città, ma talvolta ci sono anche dei villaggi vicini da visitare. Le distanze da percorrere non sono lunghe, ma anche i percorsi brevi, quando piove molto, diventano difficili. Una domenica, dopo la Messa in parrocchia, dovevo raggiungere un gruppo di animatori dell’Azione Cattolica, in un villaggio a circa 10 km da Mongo. Non faccio in tempo a lasciare la strada asfaltata che mi trovo impantanato. Sceso dalla macchina vedo a distanza due persone che camminano un po’ davanti, provo a chiamarle, ma loro tirano dritto in fretta. Il telefono bloccato perché nella zona non c’è segnale, mi dispero un po’. Mentre cerco di mantenere la calma, spunta dal nulla un giovane sorridente che si propone di aiutarmi. Salgo in macchina, riaccendo il motore, lui spinge con tutte le sue forze e velocemente riesco a uscire dal fango. Dopo una stretta di mano, gli porgo qualche moneta per ringraziarlo e lui riparte sorridente. Una gioia profonda mi entra nel cuore e mi accompagna durante tutto il resto del viaggio.

Mi sembra quasi di vederlo, l’angelo custode, seduto lì accanto a me che mi sorride anche lui e mi porge la mano per scambiarci un cinque.

 

I giovani universitari della parrocchia di Mongo stanno organizzando delle formazioni e degli incontri con i loro amici musulmani per approfondire e divulgare il documento sulla fraternità umana, firmato da Papa Francesco e dal Grande Imam d’Al-Azhar, ad Abu Dhabi nel febbraio scorso. Abbiamo tra le mani un bellissimo commento del documento ad opera del Vescovo di Orano in Algeria, Monsignor Jean Paul Vesco, intitolato «Dichiarazione sulla Fraternità umana: un inno all’amicizia».

Monsignor Vesco dice che l’amicizia fra il papa e l’imam è la chiave di lettura della dichiarazione. Si tratta di una maniera nuova di fare dialogo interreligioso con uno spostamento dello sguardo che passa dal primato della teologia al primato del concreto della vita.

Incontrandosi come due credenti che si riconoscono mutualmente come degni di fede, il papa e l’imam, ci invitano a approfondire il senso teologico della fraternità. 

La fraternità umana non è completa fin tanto che non si riconosce all’altro un accesso alla salvezza nella fede che è la sua. Francesco non immagina che Ahmad Al-Tayyeb (l’imam) si converta al cristianesimo, così come Ahmad Al-Tayyeb non immagina che Francesco si converta all’islam. E, tuttavia nessuno dei due immagina che l’altro stia correndo verso la perdizione. Vivere come cristiano in un mondo musulmano permette di fare esperienza nel quotidiano che non c’è una fraternità reale fin tanto che non ci si vede riconosciuti nello sguardo dell’altro come un credente degno di fede chiamato alla salvezza, non malgrado la sua fede, ma giustamente in ragione della sua fede. Alla fine Monsignor Vesco cita il suo predecessore, il beato Pierre Claverie: «Non soltanto ammetto che l’altro è altro, soggetto della sua differenza, libero nella sua coscienza, ma accetto che possa detenere una parte di verità che mi manca e senza la quale la mia propria ricerca della verità non possa arrivare a termine. […] Per questo ognuno di noi dovrebbe avere un amico musulmano». Credo che quest’ultima affermazione sia vera anche nel senso più largo del bisogno di avere amici di ogni religione e anche di avere amici non credenti.

L’amicizia vera permette di «fermentarsi» a vicenda, di progredire nella ricerca della verità che è una condizione necessaria per essere liberi e sensibili ai bisogni del prossimo.

Che il Natale ci aiuti a liberarci da quei pesi inutili che ci impediscono di metterci in cammino come i Magi che guardano il cielo e vedono la stella perché si sono già messi in cammino interiormente. 

Esistono due tipi di uomini. I Tir e le mongolfiere. I primi non buttano via niente e accumulano, accumulano fino alla fine della vita. I secondi, col passare degli anni, imparano a buttare le zavorre per poter volare. Tiziano Terzani fu Tir per gran parte della vita: accumulò montagne di antiquariato nei viaggi intorno al mondo e ridusse la casa a museo. Quando si ammalò capì l’antifona e divenne mongolfiera. Si ritirò in una capanna con una stuoia e una teiera, a guardare il cielo.

– Paolo Rumiz