Il posto delle fragole

Finalmente un «Romanzo senza umani»

Sarebbe bello concedersi il lusso di scrivere dell’ultimo libro di Paolo di Paolo: Romanzo senza umani (Feltrinelli 2023, in corsa per lo Strega 2024), mimando il movimento stesso che l’autore compie nei suoi testi: quello di voltarsi indietro come Orfeo che cerca Euridice, alla ricerca di vite possibili, futuri solo immaginati, origini che non si possono interrogare, vite che sembrano non aver lasciato traccia. Voltarsi indietro e ritrovare in questo testo i mille fili di altri suoi libri precedenti che insieme circoscrivono la sua poetica e la necessità reiterata che «la cronologia universale» si unisca a «quella sua personale».

Perché ancora una volta questo suo nuovo libro si muove con passo leggero ma squisitamente letterario tra memoria e oblio, tra realtà e desiderio, tra l’osservazione storica – e quindi distante dal presente – e «una corsa nudo tra i boschi», facendo di tutto per essere visto mentre si nasconde e celandosi nell’istante esatto in cui si rivela.

Di Paolo compie però anche un percorso del tutto nuovo e difficile e lo affida per la prima volta al Paesaggio, vero protagonista del libro. Lo trasmette per osmosi a un tempo e un luogo lontanissimi da lui e ci si specchia dentro. È al paesaggio che sono dedicate le aperture di quasi tutte le Parti del libro, è al racconto del luogo scelto per la narrazione che lui affida le parole che non può pronunciare. Ed è in un tempo esatto di quel luogo, di quel paesaggio, che prende origini questa storia che, come per incanto, svela al lettore anche la sua storia.

Siamo sul Lago di Costanza che durante la Piccola Era Glaciale, tra la fine del 1572 e la Pasqua del 1573 si ghiaccia completamente. Un lago intorno al quale Mauro Barbi, cinquantenne romano, Professore di Storia, compie a distanza di secoli un tragitto fisico che lo porterà a ritrovare persone della sua vita che si sono come congelate. Persone prima ancora che personaggi che hanno preso altre traiettorie, sono finite in un altrove distante cui lui non ha più accesso. «Dove sono tutti?» si chiede a un certo punto Barbi facendo quasi eco al primo titolo dell’autore: Dove eravate tutti?  Dove è finito il Professore di Storia dei tempi dell’Università, la Ragazza belga di Madrid? Anna, Fiore, Arno, Meri? Perché sembra così strano rispondere a una mail dopo quindici anni o suonare un campanello dopo un’intera vita? Perché sembra così strano se – dentro di sé – Mauro ha continuato a sentire tutti sempre presenti?

È per questo che un lago congelato per mesi sul finire del sedicesimo secolo diventa lo specchio perfetto per questo «gioco silenzioso fra la memoria e la possibilità.»

Già Filippo, protagonista di un altro suo libro: Raccontami la notte in cui sono nato, parlava di «scongelare il passato»: «Allora capivo che la memoria non si condivide, ricordiamo storie uguali ma in modo diverso, perdiamo ciò che gli altri conservano, anche di noi». In questa ricerca inesausta di persone che ci hanno sfiorato o accompagnati per un tratto, c’era già la denuncia tutta letteraria dell’incapacità di vivere il presente. Il desiderio di «essere chiunque pur di non essere me» per citare un altro suo libro: Lontano dagli occhi, con cui Romanzo senza umani condivide, a me pare, la cosa forse più importante. La fine.

Le fini sono fondamentali forse ancor più degli inizi. Gli inizi servono (solo) per cominciare a scrivere (e a vivere), mentre le fini sono essenziali per capire che «il futuro adesso arriva ed è il migliore che io possa avere». Un’inaspettata apertura al domani da parte di uno scrittore che si è a lungo interrogato su l’ieri che non è dato conoscere. Perché adesso il presente sembra bastare bastare a sé stesso. Non è più necessario immaginarsi come i personaggi di Pirandello chi non si è stato, cosa non si è diventati. Il Novecento si è chiuso, il Ventunesimo secolo pone altre domande e se è vero che la Letteratura deve «lasciare al lettore ciò di cui è capace» per parafrasare Heidegger, questo libro segna forse la fine e l’inizio di una fase nuova nella narrativa di Paolo Di Paolo.

«Tutto ha un clima» anche la scrittura.  E la scrittura qui sembra aver smesso di cercare risposte nell’istante esatto in cui finge di indagare. È un libro di cui anche per questo si fa fatica a ricostruire la trama, parcellizzata com’è in frammenti di presente che vengono restituiti al lettore in assenza di narratore. La trama – sembra voler suggerire l’Autore – è qualcosa di già accaduto prima della scrittura.

Era tutto già accaduto prima e lui non lo sapeva, non lo sa. Come un lago ghiacciato che conserva segretamente la memoria di ciò che era. Come un lago ghiacciato che nell’acqua smarrisce per sempre il riflesso di ciò che avrebbe potuto essere o è stato.

Impossibile oltre che inutile, cercare nel testo un argine tra realtà e finzione, una spiegazione oggettiva a ciò che accade, perché tutto avviene nella sfera della soggettività e le parole diventano «l’esemplare didascalia del quadro di cui sono parte», per questo, scrive: «La vera nota a piè di pagina della mia vita ero diventato io».

Mauro Barbi, è «un «esattore di ricordi» alla ricerca di persone che ha conosciuto, ma che ora, dopo decenni, non sono e non possono essere più le stesse persone. Così sfilano in ordine sparso personaggi senza spettatore, che si limita a fotografare sulla pagina, perché: «Non sono uno scrittore, sono uno storico».  Cosa cerca dunque Barbi? Cerca davvero gli altri o piuttosto cerca un sé stesso come sarebbe potuto diventare se non se ne fosse andato, se non avesse preso un’altra strada, se non avesse condiviso altri destini. Se.

Eccolo insieme al paesaggio, l’altro grande protagonista del libro: il destino. Quello che accade nostro malgrado e ci comprende, che alimenta «la nostalgia del niente», di ciò che non è stato «o è stato solo in parte. Non fino in fondo».

Ed è proprio seguendo questo sentimento che le parole scongelate, i volti ritrovati, le vite rincontrate restituiscono intatto un turbamento, un’inquietudine, forse un dolore per arginare il quale si cerca di costruire argini e mappe, si tracciano linee, si cercano immagini. È per ritrovarloo per dimenticarlo per sempre che si scrive.

Uno sguardo quello di Paolo Di Paolo che trova solo nelle ultime righe una sua pacificazione interiore e come un lago un tempo ghiacciato, ma oggi scongelato, si rispecchia infine nelle parole di una ex bambina, ormai ragazza, che nell’ultima riga del romanzo lo salva da sé stesso dicendogli finalmente che «Esiste solo il presente». Il resto, tutto il resto, sembra voler suggerire l’autore, è letteratura.