Il posto delle fragole

L’ultima sigaretta (di Zeno)

Riccardo Cepach da quasi vent’anni è responsabile dei musei Svevo e Joyce. Un luogo magico, quasi nascosto e ricco di suggestioni al centro della Città vecchia, a Trieste. Al momento sta lavorando al nuovo LETS – un Museo della Letteratura di cui si intravede qualche “annuncio” passeggiando in Cavana. L’editore: Acquario libri, lo considero molto più che un amico. Ma qui finiscono i miei rapporti con questo veramente imperdibile libro, che ho letto con grande godimento e di cui vorrei parlarvi: Riccardo Cepach, Ultima sigaretta, Italo Svevo e il buon proposito, Acquario Libri, 2023. https://acquariolibri.it/prodotto/ultima-sigaretta/

Non faccio mai recensioni, ma Italo Svevo è parte del mio percorso in modo indelebile, grazie all’insegnamento del Prof. Giorgio Luti, e all’amicizia di Ettore Schmitz con Roberto Bazlen, che tanto contribuì a diffonderne l’opera e far scoppiare il cosiddetto «Caso Svevo».
Istrionico e illuminante, questo piccolo prezioso libro ripercorre con passo leggero e molta ironia, significati e significanti di quello che nei suoi cento anni quest’anno, La coscienza di Zeno ha raccontato e celato insieme sull’U.S. che «per chi non lo sapesse … non significano United States, ma ultima sigaretta». Svevo, oltre a (far finta) di proibirsi «quella ridicola e dannosa cosa che si chiama letteratura», come noto, ha riempito pagine e pagine appuntando continui buoni propositi e date e cifre e coincidenze per scongiurare il rito reiterato dell’ultima sigaretta, che per lui ultima non fu mai.
«Il fumatore è prima di tutto un sognatore», quindi non un «letterato produttivo», annota Cepach, e negli scritti personali ancor più che nei suoi testi editi, il tono di Svevo riguardo l’intento di smettere di fumare scivola sempre da un «registro scherzoso all’amaro e al disperato.» Non era un gioco o un artificio letterario, il suo, ma ossessione quotidiana, proposito continuamente disatteso: «Fumo al solito come un turco e non vedo vicino il momento in cui saprò disfarmi di questa odiosa abitudine». Nell’agosto del 1911 Svevo in occasione di una vacanza a Bad Ischl, aveva incontrato lo psicanalista viennese Wilhelm Stekel e forse è in quel preciso momento che «l’idea dell’Ultima Sigaretta e della psicoanalisi si sono indissolubilmente legate nella mente di Svevo».
Della scrittura Svevo ha sempre fatto un “uso terapeutico” nel tentativo di esorcizzare il proprio disagio interno. Il matrimonio e l’attività commerciale svolta in quegli anni, non solo non erano riusciti ad allontanare da lui «le rane»: i dubbi e l’incessante autoanalisi, ma erano diventate anzi un reticolo da cui sembrava possibile salvarsi solo grazie alla scrittura. Sia Alfonso che Emilio – protagonisti di Una vita e Senilità – infatti scrivono, e anche Zeno Cosini scrive. Solo che – per citare Contini -: «Scrive sé stesso». E se il personaggio sveviano non permette mai una diagnosi unica della «malattia» da cui non vuole o non può guarire, sono proprio i suoi atti spesso insignificanti a rivelarne l’essenza. Quindi se la vita stessa è una malattia della materia, ecco che per Zeno il fumo come sintomo si lega allora indissolubilmente alla lettura di Freud. Ed è così che la sigaretta e il proposito di liberarsene su cui Svevo aveva “scherzato” per anni, approdano con La coscienza di Zeno nella sfera del dato patologico.
Del resto l’operazione d’autoanalisi che Zeno intraprende attraverso l’intero romanzo inizia proprio con un’analisi storica della sua propensione al fumo che si lega alla scrittura come mezzo di introspezione: «Scriva! Scriva! Vedrà come arriverà a vedersi intero» lo esorta il Dottor S.
«Zeno – scrive Svevo nel suo Profilo autobiografico – si crede un malato eccezionale, di una malattia a percorso lungo. Ed il romanzo è la storia della vita e delle sue cure». «Già da giovane incominciai a teorizzare e a considerare la mia vita quale una vita a parte, da contemplatore», scrive ancora nelle Commedie. Proprio l’attitudine alla vita contemplativa, fa sì che i personaggi sveviani e Zeno in primis avvertano sempre la necessità del sogno a occhi aperti, ed è esattamente nello sviluppo della capacità di sogno che si delinea l’evoluzione del personaggio «Trino ed uno», come lo definì al tempo Giacomo Debenedetti. Nella sua prima lettera a Montale da Charlon nel febbraio del 1926 Svevo riferendosi alla Coscienza scriveva: «Pensi che è un’autobiografia e non la mia. (…) quand’ero lasciato solo cercavo di convincermi di essere io stesso Zeno. Camminavo come lui, come lui fumavo…» Ed Emile Zola scrivendo a Fleury nel dicembre del 1988 aveva al riguardo molto ben apostrofato: «Se il genio è una nevrosi, perché volerla guarire?».

Non so se aveva ragione Bobi (Bazlen) a dire che Ettore Schimtz «non aveva che del genio». Ho sempre pensato si trattasse di uno dei suoi proverbiali paradossi, certo è che Svevo ha ancora molto da insegnare a chi desidera scrivere e si arrovella sul come farlo.
Da non tralasciare il WEB SIDE del libro, «Tabac» con la partecipazione di Edoardo Camurri: è sempre una grande gioia ascoltarlo!
Buona Ultima sigaretta da una non fumatrice accanita.

Manuela La Ferla