Il posto delle fragole

Scuolina in Ciad

Fermarsi e chiedersi come poter alleviare per un secondo il dolore nel mondo rischia di essere una di quelle frasi fatte e grondanti retorica che disturba anche solo alla lettura. Ma le parole a volte bisogna anche avere il coraggio di usarle per quel che sono: mezzi per far arrivare notizie, per aprire spiragli sul possibile. È per questo che vorrei fare un passo indietro e regalare qui un po’ di visibilità a una recente lettera del mio amico Don Gherardo Gambelli, da ormai quasi sette anni in Ciad, Parroco di N’Djamena.
Alla fine, se volete, troverete il suo indirizzo. È molto complicato fargli arrivare qualcosa, causa Dogane complicate che spesso occultano le spedizioni, per usare un eufemismo. Ma che dire? Proviamoci. Cos’è una Bic per noi? Nulla, ma lì può fare la differenza.

In uno studio recente realizzato dalla Lund University e pubblicato dalla rivista «Tchad et Culture» sulla vulnerabilità climatica, il Ciad figura fra i paesi più a rischio del mondo. I problemi legati alla sua difficile posizione geografica, stretto fra il Sahara e il Camerun, senza sbocchi al mare, sono divenuti ancora più complessi a causa delle numerose guerre civili. Sui 57 anni dall’indipendenza a oggi, 35 sono stati trascorsi in conflitti armati. A partire dalla metà del XX secolo, inoltre, l’innalzamento delle temperature, la riduzione delle precipitazioni e l’aumento dei prelevamenti idrici per l’irrigazione, ha provocato una riduzione di circa il 90% delle riserve d’acque del lago Tchad. Gli studi prevedono un’intensificazione di questo clima  secco e arido nel corso del XXI secolo che comporterà una riduzione dei rendimenti agricoli, pascoli degradati e un quotidiano difficile per quanti dipendono dalle risorse del lago Tchad. La riduzione delle risorse dell’agricoltura e dell’allevamento rende più difficile la coabitazione coi numerosi rifugiati presenti sul territorio. All’est, alla frontiera col Sudan, sono circa 300.000 i profughi del Darfur e a sud sono circa 67.000 quelli provenienti dal Centrafrica. Al nord, la crisi alimentata dalla setta Boko Haram, con le sue ripercussioni sulla regione del lago Tchad, ha provocato già più di 60.000 migranti. La chiusura della frontiera con la Nigeria, a causa del problema del terrorismo, sta provocando gravi perdite al mercato dei bovini. Per fare un esempio, prima del 2015, un capo poteva essere venduto a 300.000 franchi (circa 450 euro), oggi difficilmente si trova un acquirente disposto a pagarlo al prezzo di 100.000 franchi (150 euro). La caduta del prezzo del petrolio a partire dal 2014, che contribuiva al 90% delle esportazioni di beni e al 30% del prodotto interno lordo, ha provocato una profonda recessione dal 2016 a oggi, che non cessa di aggravarsi. Praticamente adesso il Ciad non riceve più niente dalla vendita del suo greggio, i cui proventi sono assorbiti già da due anni dal pagamento di un debito contratto con l’impresa svizzera Glencore per acquistare delle parti nel consorzio che sfrutta il bacino petrolifero di Doba, nel sud del paese.
Dal 2003, anno di inizio dell’estrazione del petrolio fino al 2014, il prodotto interno lordo per abitante è cresciuto da 220 a 1024 dollari e con esso la propensione marginale a consumare dei ciadiani. Si può facilmente capire che, quando il presidente della Repubblica invita a ritornare alla situazione del prima 2003, i suoi discorsi suscitano una forte opposizione della società civile. La Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale condizionano i loro aiuti a una drastica riduzione del debito interno e esterno. Tutto ciò ha provocato il taglio dei salari nella funzione pubblica e l’inizio degli scioperi che perdurano da febbraio fino a oggi, specialmente nella scuola e nella sanità.

Purtroppo la politica estera dei paesi occidentali nei confronti dell’Africa non è molto cambiata e anche certe decisioni prese recentemente per lottare contro il terrorismo, non brillano per lungimiranza.

Durante gli ultimi tempi mi è capito varie volte di guardare i volti dei bambini e dei giovani della parrocchia. Mi ricordo che quando ero giovane, lo sciopero a scuola era una mezza festa, un’occasione per fare un po’ di vacanza. Qui invece è il contrario: essere obbligati a restare a casa senza far nulla è una vera punizione e talvolta motivo di angoscia fino alle lacrime, soprattutto per quei giovani che si preparano all’esame di maturità e si domandano se mai riusciranno quest’anno a terminare la scuola superiore. Davanti al perdurare dello sciopero, abbiamo convocato in parrocchia un consiglio pastorale straordinario al termine del quale abbiamo deciso di cominciare dei corsi di recupero per i bambini e i giovani delle nostre comunità di base. Nel frattempo i sindacati e il governo hanno trovato un accordo che dovrebbe mettere fine allo sciopero nei prossimi giorni, ma restiamo vigilanti. Quello che mi ha colpito e rallegrato profondamente è stata la gara di solidarietà per l’organizzazione di questi corsi.

Mi sono sentito, ed è un’esperienza che mi capita spesso, non solo qui in Ciad, come un allenatore di calcio molto modesto, ma con uno squadrone da Champions League.

Il giocatore-capitano che prende in mano la squadra nel caso specifico, è un ex-preside con grandissima esperienza professionale, che in tre balletti ha fatto un ottimo programma per suddividere gli oltre mille allievi nei vari gruppi, assegnare loro gli insegnanti, stabilire luogo e orari delle lezioni. Moltissime altre persone si sono offerte per sostenere l’iniziativa attraverso l’offerta di quaderni, penne, gessi, lavagne…
Non è che una piccola goccia, ma basta per vedere rifiorire sorrisi e segni di speranza sui volti dei giovani.

Per inviare libri in lingua francese, quaderni, penne, matite e altro materiale per la Scuolina in Ciad, questo è l’indirizzo: Paroisse sainte Bakhita B.P. 456 Ndjaména Tchad

Grazie